Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/149

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giulio janin i43

Alfieri, che non gli appicchi qualche leggiadro epiteto: «un fat prècoce», «un bandit», «un insolent», «un bellâtre», «un malvenu», «maitre Alfieri», «le comte Alfieri», «le prince Alfieri», «monseigneur», ecc., ecc. Montate voi in collera? Ohimè! Janin trionfa; a questo mirava. Un dramma si dice riuscito, quando riscuote applausi; l’appendice di Janin è riuscita, quando suscita una tempesta. Quello che voi chiamate insolenza, oibò! è una figura rettorica — c’est de l’esprit — un calore di penna, un mezzo di far impressione. Se in questo ci è nulla da biasimare, una parte, del biasimo dee cadere sul pubblico, che ne’ primi tempi, quando egli incerto ancora della via e portato dall’umore temeva di aver detto troppo, lo ha incoraggiato a far peggio, sul pubblico, che all’audacia delle affermazioni, a’ giudizii in grado superlativo senza riserbo e misura, alla mordacitá, alla malizia suole spesso batter le mani. E poiché il male è fatto, battiamo noi pure le mani a Giulio Janin.

[Nel «Piemonte», a. I, n. i67, i7 luglio i855, e nello «Spettatore» di Firenze, n. 42.].