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GIUDIZIO DEL GERVINUS
SOPRA ALFIERI E FOSCOLO


Chi ha letto il capitolo del Gervinus intorno alle condizioni letterarie dell’Italia nel secolo XIX, pubblicato testé nel «Cimento», ha potuto vedere con quanto senno l’autore, senza interrompere mai la narrazione, com’è debito dello storico, ha saputo darci un giudizio compiuto della nostra letteratura; e dico compiuto per rispetto al suo scopo. Io debbo rifare il suo lavoro non come storico, ma come critico, studiandomi di afferrare le questioni essenziali, che sono come il fondamento di tutta la sua esposizione.

E innanzi tutto i fatti da lui addotti sono esatti? Sono compiuti? Né l’uno, né l’altro, parmi. Non è esatto, per esempio, che la lettura del Machiavelli abbia acceso in Alfieri quel sentimento politico, di cui s’informarono i suoi lavori; né che le sue prime idee politiche le abbia attinte da Plutarco. L’autore ha dimenticato l’azione efficace che ebbero su di Alfieri le idee del secolo decimottavo, che si manifestarono con tanta facondia in Beccaria, in Filangieri, in Mario Pagano. Potrei notare alcune altre inesattezze, ma come tutto questo è accidentale e secondario, e non tocca le basi del suo giudizio, non vo’ fargli il pedante. Piú grave rimprovero si può fare allo storico. Come? voi mi parlate della letteratura italiana da Alfieri a Manzoni, e non fate menzione, taccio i minori, del Berchet, del Giusti e del Leopardi? Lascio stare la loro grandezza. Ma anche sotto