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«satana e le grazie» di g. prati 75

quando degenera in un’analisi di passioni prosaica e rettorica, e l’azione vi sta a dare risalto ai sentimenti, e le osservazioni tolgono il luogo alla rappresentazione.

Allora si ritorna alle forme antiche, e la poesia si rinsanguina. Ricomparisce l’Olimpo e Satana: la novella si marita con la leggenda.

La leggenda moderna è lo stesso che l’antica? Quando leggiamo il racconto del carbonaio, nessuno domanda: — Che cosa ha voluto fare l’autore? — L’autore ha voluto raccontare un fatto: ecco tutto. Ma quando Prati, in luogo di descriverci le passioni che condussero quei tre giusti al delitto, vi caccia in mezzo le Grazie e Satana, non ci è lettore che non domandi a sé stesso: — Che cosa ha voluto far Prati? — Il lettore volgare ragiona cosí: — Prati sa che quei tre giusti furono sospinti al male dalle loro passioni: ficcarci in mezzo le Grazie che si fanno donne per sedurli, la è troppo: non ce la dará ad intendere. Le Grazie sono ombre ed apparenze, sotto il cui velo ha voluto adombrare qualche profondo concetto. — Ed eccoti i lettori tutti dietro al concetto di Prati; e chi gliene affibbia uno, chi un altro, in mezzo alle alte risa di due persone, del Fischietto e del poeta. Il Fischietto nella sua qualitá comica è il ghigno del secolo decimonono, che guarda con una curiositá poco riverente alla nuditá delle Grazie, e le trova poco decenti, si beffa di Satana, spauracchio de’ nostri maggiori, e, volgendo un’occhiata di compassione al poeta, si stringe nelle spalle e conchiude: — È matto! — Il poeta, conscio egli solo del suo segreto, se la ride sotto il muso, con l’aria di chi ci dica: — Stillatevi pure il cervello; non l’indovinerete. — Ma Prati ha veramente un segreto? Ha voluto egli celare sotto la sua finzione una veritá teologica o filosofica o morale? Se cosí fosse, mi permetta che alla mia volta io rida di lui. La critica italiana è dunque caduta si basso, che noi non possiamo gustare una poesia, se non vi «peschiamo sotto un concetto scientifico? Noi non concepiamo ancora la poesia come arte; non ci contentiamo ch’ella ci dia ciò che solo può darci, un godimento estetico, e ci avvolgiamo stagnanti in opinioni permesse appena a’ tempi di Vincenzo