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l’«armando» di giovanni prati i93


Un mondo se ne va, e ne comincia un altro. Comincia il Rinascimento.

Sul limite confuso tra il Medio evo e il Rinascimento apparisce Amleto.

Passa inosservato e incompreso.

Shakespeare stesso è stimato un barbaro.

Il Rinascimento è una reazione pagana mescolata piú o meno di cattolicismo, contemplazione serena, plastica della vita, e che, dopo i suoi giorni di gloria e di grandezza, andò a finire, come il mondo pagano, in un pretto realismo.

Mori sotto il riso di Voltaire.

In Voltaire ci erano due uomini: l’uomo di lettere e l’uomo di spirito. L’uomo di lettere era classico, disprezzava Shakespeare, scriveva tragedie, scriveva la Henriade. L’uomo di spirito uccise il letterato, e con le sue tragedie e con la sua Henriade seppellí tutto il vecchio mondo, e prenunzio nuovi tempi.

La parola dei nuovi tempi la pronunziò Diderot: fu l’ideale.

Era lo spirito che riprendeva il suo posto; era il Medio evo che si vendicava.

E sorse un mondo filosofico-poetico, una vasta sintesi che, abbracciando e spiegando tutto il passato, lo rifaceva, lo ricreava, gli dava nuovo senso.

Questo mondo della filosofia, in difetto di una mitologia propria, fece sue tutte le mitologie, mescolò tutte le forme. Era l’ideale e lo spirito che si sprigionava dal limite di questa o quella forma, e di tutte facea una semplice sua manifestazione.

In questo idealismo panteistico vedemmo prima ricomparire le streghe e tutt’i neri e torbidi fantasmi del Medio evo, e poi le prische deitá e forme pagane tolte dal loro antico piedistallo furono tirate ad altri fini e a un altro contenuto.

Il Faust è l’espressione piú vasta di questa dissoluzione e indifferenza delle forme, di questo mondo dello spirito che suggella di sé tutto il passato, e, togliendo a quelle creazioni una personalitá giá esausta e petrificata, ne fa la sua veste e la sua luce, appropriandosi con la stessa indifferenza Elena e Mefistofele.

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De Sanctis, Saggi critici.-ii