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Questo mondo novo non è uscito dall’ immaginazione dell’umanitá con forme e limiti propri. Esso è il mondo del puro pensiero, che, calando in questa o quella forma, vi rimane inviolato ed estraneo. Le forme di cui si serve con perfetta indifferenza non sono nate e compenetrate con esso, non sono veri corpi animati; sono ombre di corpi giá viventi, melanconiche reminiscenze di un tempo che fu, rimaste fantasmi liberi a nuove combinazioni e nuove concezioni. Perduta la loro corporalitá, non sono piu vere creature, sono simboli e allegorie.

Ma, appunto perché in questo mondo uscito da speculazioni metafisiche disposate a reminiscenze religiose, il pensiero rimane puro ideale in tutte le forme, non ci è niuna forma ultima in cui si possa adagiare; passa dall’una all’altra senza mai trovare in nessuna sé stesso e dimenticarvisi, e in nessuna si posa e in nessuna si appaga.

E poiché la poesia è nella forma, e lo spirito nella forma non ritrova sé stesso, la convivenza dello spirito e della forma è una tragedia.

Questo mondo metafisico, come poesia, è una negazione, è la tragedia dello spirito. Solo nell’altro mondo al di lá delle forme diviene una Commedia divina; nella vita terrestre ciò che si chiama realtá, è una illusione; l’Umanitá è un perpetuo divenire di sogni e di visioni.

È naturale che innanzi a questa tragedia umana, dove tutto passa e niente è di positivo e di sostanziale, il cuore si schianti e mandi sangue. Perciò il lato piú interessante di questo mondo fenomenico è affatto negativo; e la sua Musa è la tristezza in tutte le sue gradazioni, da ciò che ha di piú sublime il terrore a ciò che ha di piú tenero la malinconia.

Il concetto di questo mondo è Amleto, il pensiero che, in luogo di calare nella vita ed obbliarvisi, ritorna di continuo sopra sé stesso. Il protagonista è Fausto, che erra inappagato di forma in forma, e non trova Margherita, cioè sé stesso, se non di lá delle forme, nel mondo del puro spirito. Episodii lirici sono le fantasie malinconiche di Schiller, Victor Hugo e Lamartine.