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268 saggi critici

è esso pure qualcosa, e non si può trascurarlo, e reputarlo quasi indifferente. E ve lo mostro io — . E prendendo ad esame la Divina Commedia, piglia arte e contenuto, e, come fossero i colori della tavolozza, li distribuisce e li mescola in giusta misura.

Qui lo Zumbini lascia il Settembrini e prende a discorrere dello stato della critica in Italia, e vi trova due scuole: la vecchia critica al modo del Settembrini, sorta «in un periodo di rivoluzione», che giudica l’arte dal suo contenuto; ed una critica nuova, che giudica l’arte co’ criterii dell’arte, e trascura quasi del tutto il contenuto1.



  1.      Questa è la parte fiacca del suo lavoro. Non mi ci stendo sopra perché mi distrarrebbe troppo dall’argomento principale, ed anche perché dovrei pur parlare di me: cosa che mi ripugna. Lo Zumbini non ha bene studiato la teoria che ha per fondamento l’indipendenza dell’arte, o l’ha studiata solo nelle esagerazioni di Victor Hugo e di tutti i romantici che ne hanno cavata la formola eccessiva: l’arte per l’arte.
         L’indipendenza dell’arte è il primo canone di tutte le estetiche e il primo articolo del Credo, né un’estetica è possibile, che non abbia questo fondamento; sicché non solo questa non è una critica sentimentale, anzi è la sola critica razionale, la sola che si possa chiamare scienza. E la scienza è nata il giorno che il contenuto è stato non messo da parte o dichiarato indifferente, come crede lo Zumbini, ma collocato al suo posto, considerato come un antecedente, o un dato del problema artistico. Ogni scienza ha i suoi supposti, i suoi antecedenti. Il supposto della estetica è fra l’altro il contenuto astratto. E la scienza comincia quando il contenuto vive e si move nel cervello dell’artista e diventa forma, la quale è perciò il contenuto esso medesimo in quanto è arte. La forma non è «a priori», non è qualcosa che stia da sé e diversa dal contenuto, quasi ornamento o veste, o apparenza, o aggiunto di esso; anzi è essa generata dal contenuto, attivo nella mente dell’artista: tal contenuto, tal forma. Ed il contenuto è attivo, appunto perché ha la sua poesia, il suo bello naturale, come la natura ha il suo bello reale, ha qualcosa di proprio che fa impressione e mette in movimento il cervello dell’artista, ed apparisce nella forma. Ivi, nella forma, il critico ritrova il contenuto, «da lui giá esaminato come un antecedente»: lo ritrova non piú natura, ma arte; non piú qual era, ma quale è divenuto, e sempre tutto esso, col suo valore, con la sua importanza, col suo bello naturale, arricchito e non spogliato in quel divenire. Il contenuto non è dunque indifferente, non è trascurato. Apparisce due volte nella nuova critica: la prima, come naturale o astratto, qual era; la seconda, come forma, qual è divenuto.
         Ma, se il contenuto, bello, importante, è rimasto inoperoso o fiacco o guasto nella mente dell’artista, se non ha avuto sufficiente virtú generativa, e si rivela debole o falso o viziato nella forma, a che vale cantarmi le sue lodi? In questo caso, il contenuto può essere importante in sé stesso; ma come letteratura o come arte non ha valore.
         E per contrario il contenuto può essere immorale, o assurdo, o falso, o frivolo; ma, se in certi tempi e in certe circostanze ha operato potentemente nel cervello