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306 saggi critici
senza una cert’aria d’ ironia, la battaglia dell’Arbia, dov’egli disperse i Guelfi:
                                    .   .   .   Lo strazio e il grande scempio,
Che fece l’Arbia colorata in rosso,
Tale orazion fa far nel nostro tempio.
                         

E qui balza fuori un altro tratto di questo carattere cosí pieno e ricco. Guardate nel suo insieme una battaglia, e vi rapirá in ammirazione; guardate questo o quel morente, e voi piangete. Quando Farinata ha detto: — Io «per due fiate gli dispersi», — quel motto ci par sublime, perché ci mostra un grand’uomo, che quasi con un solo sguardo mette in fuga gli avversari. Ma quando Dante gli gitta sul viso il sangue cittadino e gli mostra l’Arbia «colorata in rosso», il fiero uomo sospira, egli che aveva detto testé «io», e non soffre ora di regger sulle spalle egli solo il peso di quel rimprovero, e va cercando compagni; ma rileva tosto il capo, trovando nella sua vita la piú bella delle sue azioni, di cui la gloria è tutta sua, di lui solo; la scena si rischiara e si abbella; al cruento vincitore di Arbia succede il salvatore di Firenze, ultima immagine che è la purificazione e la trasfigurazione del partigiano:


                                    Poi che ebbe sospirando il capo scosso,
A ciò non fu’ io sol, disse; né certo
Senza ragion sarei con gli altri mosso:
     Ma fui io sol colá, dove sofferto
Fu per ciascun di torre via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto.
                         

Quest’ultimo verso è un’epigrafe, l’apoteosi. Ed è rimasto ne’ secoli il motto caratteristico in cui si chiude e si epiloga la vita dell’eroe.

Certo, il tipo del Farinata è ancora troppo semplice per l’uomo moderno. C’è lí dentro la stoffa ancora epica dell’uomo, non ancora drammatica. Manca l’eloquenza, manca la vita interna dell’anima. Lá è una grande natura, ma che, come la statua di Mennone, ha bisogno di esser percossa da impres-