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tento del Davanzati, e non riconosce Virgilio nella versione del Caro: audacia di giudicare fra tanta superstizione classica e che levò scandalo fra’ puristi, e indusse il buon Giordani a scusare e chiarire la temeraria sentenza1. Questa tendenza tutta obbiettiva, che sforzava Giacomo a trasferirsi nell’autore e dimenticare sé in quello, lo rese cosí potente all’imitazione, che fu creduto versione dal greco il suo Inno a Nettuno, e di Anacreonte le due sue greche anacreontiche, e di un trecentista il suo Martirio de’ Santi Padri.

Fra queste versioni e imitazioni e contraffazioni e discorsi critici e ragguagli di testi tirò il Leopardi sino a venti anni. Tentativi di lavori originali non erano mancati, ma erano rimasti semplici velleitá, senza effetto serio. Notevole è un’elegia o lamento amoroso, di cui un frammento leggesi ne’ suoi Canti, e dove l’imitazione del Petrarca è visibile. Tra le sue carte furono trovati alcuni abbozzi o disegni d’Inni sacri, al Redentore, agli Apostoli, a’ Solitarii, a Maria. Il suo Saggio sugli errori popolari degli antichi, composto a diciassette anni, si conchiude con una commovente apostrofe alla Religione, dove si rivela in una prosa ricca e figurata tutta l’ingenuitá e l’ardore della fede avita, ancora intatta. Ma niente venne a maturitá, e a venti anni ciò che ci era di piú chiaro innanzi al suo spirito, fu Pompei, voglio dire il mondo antico, che all’anima giovinetta avea dato la sua coscienza, il suo sentire, il suo pensiero, la sua immagine : il mondo moderno, la societá che si moveva intorno a lui, era rimasa fuori del suo spirito; egli medesimo era rimaso fuori di sé medesimo, e non si era ancora ripiegato in sé, non fattosi le formidabili quistioni : — Chi sono? onde vengo? ove vado? — . Il mondo antico aveva uno splendore di gloria e di sapienza e di potenza, che gli rendea col paragone piú acerba la miseria de’ tempi suoi, e lo tirava a sé con forza soave. Due immagini erano ben chiare innanzi a lui: la



  1. Di un giudizio di Giacomo Leopardi circa il Caro e il Davanzati. Nota di Pietro Giordani.