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la prima canzone di g. leopardi 347

grandezza antica e la piccolezza presente : e però, dispregiatore sovrano del secolo, il suo studio era di creare in sé la coscienza e il pensiero e le forme antiche. Non acquistata ancora coscienza di sé, tutto in tradurre, imitare e contraffare, egli è schiavo del suo idolo, ma volontario, e si pavoneggia della servitú, e fa pompa delle catene, come ornamenti della persona, e pone il suo vanto in rassomigliare a quello cosí puntualmente, che altri dica: — È desso — . La qual cura di parere altri e non sé lo punge in modo, che talora smarrisce ogni iniziativa, ogni vigore, quasi tema di mescolare di sé in alcuna cosa l’originale, e turbare la puritá de’ suoi lineamenti : come si vede nell’ultimo suo lavoro, che è la versione troppo fedele e perciò infedelissima del libro secondo dell’Eneide.

Con questi propositi e con questi studii Giacomo Leopardi mette mano per la prima volta ad una poesia sua, e pubblica in Roma la canzone All’Italia. Ci trovi messe a fronte le due idee, che sono come la conclusione a cui è giunto finora il suo spirito: la grandezza antica e la piccolezza moderna, l’Italia moribonda e disperata d’ogni salute, e la Grecia nel pieno rigoglio della vita. Le quali due idee sono espresse in due fatti, posti l’uno dirimpetto all’altro; da una parte gl’ italiani che pugnano in estranee contrade, e non per la patria, ma per altra gente, e dall’altra i trecento greci alle Termopili che per la patria pugnano e muojono. Precedono due strofe, quasi funebre preludio, dove si lamenta la peiduta grandezza d’Italia.

Il concetto è cosí semplice, e, sotto un apparente disordine di animo concitato, cosí ben disposto, che la canzone appena letta ti sta chiara e tutta innanzi alla mente. E se ti ci addentri, ci troverai un alto «pathos», un senso altamente tragico. L’Italia è caduta tanto miserabilmente, che il poeta, giunto alla metá del canto, se ne dimentica, e non ci pensa piú, e vive in Grecia e rimane in Grecia, di modo che l’Italia pare una semplice occasione e quasi una introduzione all’inno di Simonide, e Pietro Giordani potè con qualche ragione intitolare la poesia: Canzone di Simonide. È appena chiusa la terza strofa, e giá l’immaginazione non può durare in quello strazio e in