Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/174

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Queste prime poesie del Meli piacquero, e destarono un po’ li gelosia, si dice, nel principe di Campofranco, il quale spronò il giovane a poetare in dialetto. E fu un buon consiglio. E il Meli scrisse due cicalate, come era costume nelle accademie italiane, dove a perditempo o a passatempo si faceva dello spirito sopra temi stravaganti, sottilizzando e rettoricando, come in lode del debito o della peste o del naso, un genere convenzionale che, perfezionato e abbreviato, produsse le sciarade e i logogrifi e i rebus, nuova forma dell’ozio.

E anche Meli fece le sue cicalate, e l’una fu in lode della pulce, e l’altra in lode della mosca, due animali troppo noti, troppo a noi vicini. (Ilaritá)

Ci è in queste cicalate una certa immaginazione, e anche uno spirito non volgare; ma ci si sente lo scolare e l’imitatore, e se gli accademici applaudivano, Meli diveniva pensoso. Oh è cosa ben difficile divenire un poeta! E divenire un poeta era i! sogno di Meli, il capo pieno di romanzi e di versi, e gli giravano per la fantasia mondi fantastici, allegorici e letterarii, poco esperto ancora del mondo reale. Cosi gli usci la Fata galanti. Su questo primo poema mi voglio fermare un tantino, perché qui si scorge bene la natura de’ suoi studii e delle sue attitudini.

Meli salva una Fata dalle percosse di un zotico villano, e la Fata ripiglia la sua forma; e gli dice: — Picciotto, sei fortunato. Io sono la Fata: chiedimi !a grazia che vuoi: fuori che oro e argento, tutto ti posso dare. — E che mi giovano i tuoi favori senza danari?

                               Tanti genti cu mia fannu accussí,
Mi stimanu e ’un mi dunanu un tarí. —
               

Come vedete, il povero Meli aveva molto fumo e niente arrosto:

                               Mi stimanu e ’un mi dunanu un tari. (Viva ilaritá)                

E pensa e dice:

                               Ora videmu si tu mi poi fari
Pueta in pocu tempu addivintari.