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giovanni meli | i69 |
— «Poeta nascitur», — risponde la Fata. Pure, se lo trae appresso pel Cielo; e comincia un viaggio fantastico a modo della Divina Commedia, e conosce poeti e filosofi, e scende nel mondo sotterraneo e risale in cielo, in sino a che si accorge che non ci è Fata e non ci è viaggio che possa farlo poeta. In ultimo si scopre l’allegoria. La Fata è lui stesso, la sua fantasia, e il viaggio esprime i diversi stati del suo animo.
Come si vede, il concetto ricorda la Divina Commedia, e quelle processioni di uomini illustri sul monte Pindo ricordano il Limbo, come quel suo regno della «Farfantaria», riboccante di figure allegoriche, ricorda }a Discordia e le altre figure dell’Ariosto. Accanto a queste reminiscenze che non ti lasciano dare grande importanza a tutto questo insieme, ci è un certo spirito e una certa originalità ne’ particolari, che attira l’attenzione.
L’isola della « Farfantaria » o della impostura, regno delle favole e finzioni, nemico di verità, è come la base della poesia:
Pirchí senza lu finciri e ’mmintari Nuddu bonu pueta si po’ dari. |
Gente in maschera, « ch’avianu d’oru fausu li vistiti », saltimbanchi e ciarlatani, cabalisti, astrologhi, alchimisti, Paracelso e simili impostori, «ca prumittianu l’immortalitati o di truvari la vina di l’oru», librerie piene di poeti e romanzi, di astronomia e magia, ecco l’atrio. Poi vengono figure allegoriche, disegnate con una originale vivacità: l’«Ingannu»,
Chi ’mbrugghiava marreddì, e jia pinsannu; |
Chi juncía hic ed hac in una vera Amistá, come ’ntrinsici parenti; |
D’ossequii, adulazioni e cumplimenti, Schiera assai grata a tutti li francisi, E multu disprizzata da l’inglisi. |