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l’ugolino di dante 37

senza parola e nell’innocenza di quello «che hai?» accompagnato con lacrime. Il contrasto vien cosí naturale, e nella sua profonditá è cosí chiaro, che ti mette senza piú nell’intimo della situazione. E se un pittore dovesse scegliere un’attitudine sintetica che ti ponesse avanti i tratti sostanziali di questa poesia, sarebbe quest’essa: perché qui sei proprio al momento decisivo del racconto; ed ha giá nell’attitudine del padre e de’ figli tutt’i motivi del piú alto patetico.

Il primo pensiero del padre è i figli. E il primo pensiero de’ figli è il padre: — «Che hai?» — . Se il padre prima non lacrimò e non fe’ motto perché rimase impietrato, ora non parla e non lacrima per non addolorare piú i figli. L’amore gli vieta ogni espansione. La passione ha bisogno di sfogarsi, e non potremmo sopportare il dolore, se la natura benefica non ci sospingesse ad urlare, a imprecare, a piangere, a strapparci i capelli, a morderci le mani; quel padre dovrá divorare in silenzio il suo dolore, comprimere la natura, forzare la faccia ed il gesto, essere statua e non uomo, la statua della disperazione:

                               Però non lacrimai, né rispos’io
Tutto quel giorno, né la notte appresso.
                         

La compressione è tanto piú violenta, quanto maggiore è la tenerezza di quello «che hai?», e quanto è piú commovente quell’«Anselmuccio mio», che ricorda tante care gioje di famiglia in tanto mutata situazione. Ma una cosí lunga compressione della natura, che vuole e non può sfogarsi per tutto un giorno e una notte, questa tragedia tutta e solo al di dentro, a cui manca l’espressione, è la negazione di ogni poesia, portata al di lá della forma e perciò della sua vita. Esteticamente non vive ciò che non può essere rappresentato. Come l’anima ghiacciata del traditore è la fine della vita infernale, cosí l’immobilitá di Ugolino è la morte del sentimento, rimasto senza lacrima, senza accento, senza gesto, senza espressione. Questo chiudersi muto dell’anima nella sua disperazione, può essere in certi momenti sublime, ma a patto che abbia anch’esso la sua