Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/31

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al balcone agganciandosi i polsi della giacca nera a falde.

— Donna Noemi, buon giorno, padrona mia! Non scende?

Ella si chinò alquanto, coi folti capelli neri dorati splendenti intorno al viso pallido come due bande di raso; rispose al saluto con gli occhi anch’essi neri dorati sotto le lunghe ciglia, ma non parlò e non scese.

Spalancò porte e finestre, — tanto non c’era pericolo che la corrente sbattesse e rompesse i vetri (mancavano da tanti anni!) e portò fuori stendendola bene al sole una coperta gialla.

— Non scende, donna Noemi? — ripetè Efix a testa in su sotto il balcone.

— Adesso, adesso.

Ma ella stendeva bene la coperta e pareva s’indugiasse a contemplare il panorama a destra, il panorama a sinistra, tutti e due d’una bellezza melanconica, con la pianura sabbiosa solcata dal fiume, da file di pioppi, di ontani bassi, da distese di giunchi e d’euforbie, con la basilica nerastra circondata di rovi, l’antico cimitero coperto d’erba in mezzo al cui verde biancheggiavano come margherite le ossa dei morti; e in fondo la collina con le rovine del Castello.

Nuvole d’oro incoronavano la collina e i ruderi, e la dolcezza e il silenzio del mattino davano a tutto il paesaggio una serenità di