Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/46

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— II podere? — disse Efix, appoggiandosi al muro accanto alla donna. — Va bene. Quest’anno avremo più mandorle che foglie. Così ti pagherò tutto, Kallì! Non stare in pensiero....

Ella aggrottò le sopracciglia nude, seguendo con gli occhi il filo del suo fuso.

— Non ci pensavo neanche, vedi! Tutti fossero come te, e i sette scudi che tu mi devi fossero cento!

— Saetta che ti sfiori! — pensava Efix: — m’hai dato quattro scudi, a Natale, e ora son già sette!

— Ebbene, Kallì, — aggiunse a bassa voce, curvando la testa come parlasse ai porcellini che gli fiutavano con insistenza i piedi. — Kallì, dammi un altro scudo! Così fanno otto, e a luglio, come è vero il sole, ti restituirò fino all’ultimo centesimo....

L’usuraia non rispose; ma lo guardò a lungo da capo a piedi e tese il pugno verso di lui facendo le fiche.

Efix sobbalzò e le afferrò il polso, mentre i porcellini scappavano seguiti dai gattini e a tanto subbuglio le galline starnazzavano.

— Kallì, saetta che ti sfiori, se non ci fossero gli uomini come me, tu invece di praticar l’usura andresti a pescar sanguisughe....

— Meglio pescar sanguisughe che farsi succhiare il sangue come te, malaugurato! Sì, Maccabeo, te lo dò lo scudo; dieci e cento