Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/147

Da Wikisource.

— 141 —

dunque questo grappolo! È pulito; io non l’ho neppure toccato! Me lo portò zio Pera Sa Gattu.

— Zio Pera? — chiese Anania, ricordando con disgusto la storiella di Maestro Pane.

— Sì, poveretto! Egli si ricorda sempre di me, e tutti i giorni mi porta qualche cosa: il mese scorso sono stata malata perchè mi si sono riaperte le piaghe, e zio Pera fece venire il medico e portò le medicine. Ah, egli fa per me ciò che farebbe mio padre se.... Ma egli mi ha abbandonato! Basta! — disse poi Rebecca, accorgendosi di aver toccato un tasto doloroso per Anania. — Lei dunque non vuole il grappolo? È pulito, però.

— E dallo qui! Ma dove lo metto? Aspetta: lo avvolgo in questo giornale. Io dunque parto, sai. Vado a Cagliari per gli studi. Arrivederci; sta bene e curati.

— Addio! — diss'ella, con gli occhi pieni di lagrime. — Anch’io vorrei partire!

Anania uscì e vedendo sulla porta della bettola la bella Agata si avvicinò per congedarsi anche da lei.

Appena lo scorse, la ragazza cominciò a sorridergli, con gli occhioni lucenti, ed a fargli segni d’addio con la mano.

— Tu facevi all’amore con quel mucchietto di marcia? — chiese accennando Rebecca affacciatasi alla porta — Allontanati, che puzzi orribilmente.

Anania fece un gesto di raccapriccio, pensando instintivamente a Margherita.