Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/152

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donna dev’essere donna, specialmente quando si chiama con un nome come il tuo. Ma tu te n’eri dimenticata, a quanto pare; non ricordavi più Che eri nipote di Remundu Corbu e figlia di Battista Corbu. Non hai imitato tua madre, che perchè la famiglia non si disgregasse volle sposare suo cugino, il figlio di mio fratello: no, tu hai guardato il figlio di un capraio, uno studentello senza casa e senza testa, un ragazzo corrotto, che non era della tua razza nè del tuo grado. E ben ti sta quello che ti è accaduto! Non piagnucolare, adesso, e tagliati la lingua.... Ah, noi lo abbiamo ucciso? — proseguì, senza dar ascolto a Columba che balbettava qualche parola. — S’è ucciso lui, coi suoi vizi ed i suoi stravizi! Del resto, non aver paura, nipote mia, egli non morrà: egli finge, e chissà chissà che non mediti qualche bel colpo! È chiuso nella sua tana come il pensiero maligno nella mente d’un uomo cattivo: un bel momento verrà fuori e sarà un flagello. Basta, non parliamo più di lui! È l’ultima volta che io ne parlo. Solo una cosa devo dirti ancora: vuoi sposartelo? Padrona! Ti ho mai detto di no? Questo il mio torto: essere stato sempre debole con te, io, io, Remundu Corbu! Anch’io non sono stato uomo, con te, ma sono stato come una fionda nelle mani di un fanciullo: piegala di qui, piegala di là, essa finisce col rompersi. Ben mi sta! Anche per Zuampredu Cannas ti ho mai detto nulla? Quando egli fece la sua prima domanda tu l’hai rifiutato: alla seconda hai risposto sì. Sei pentita, adesso? Sei sempre padrona di tornare indietro; non devi ascoltare i consigli di nessuno. Una volta, nipote mia, — egli continuò, raddolcito dall’attitudine umile e dolorosa di Columba che aveva reclinato la testa rannicchiandosi sull’angolo del focolare, — io fissavo nel salto di Dorgotori,