Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/157

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lido e ironico di Jorgj Nieddu, i suoi occhi scintillanti; e ancora sentiva quel senso di sdegno che la presenza e le parole dello studente un tempo gli destavano.... Ah, egli è lì, ancora lì, in mezzo a loro, è sempre il più forte e finirà col cacciarli via di casa.

«Babbu Corbu, dice la voce triste di Columba, — vorrei esser già lontana di qui.... così tutti saremmo più tranquilli....»

Che fare, per renderla tranquilla? In fondo, al vecchio non importa affatto la propria inquietudine; egli ha passato una vita così agitata!... ma non può sopportare la continua tristezza di Columba. Che fare? Cercare ancora il ladro? Frugare nuovamente in tutte le casupole del vicinato? A che? Per crearsi ancora inutilmente nuovi nemici? I denari sono spariti; li abbia presi Giorgio, li abbia presi il mendicante o qualche altro dei vicini di casa, anche ritrovandoli non si rimedierebbe a nulla. Il male non è lì; ha radici più profonde, va in là, molto più in là, e non si può guarire. Anche se il nonno andasse in chiesa e si inginocchiasse in mezzo al popolo gridando: «Jorgj Nieddu è innocente! Io l’ho accusato senza esser certo della sua colpa!» a che servirebbe? A far ridere il popolo. L’odio resterebbe lo stesso, tra il vecchio e il giovane; questi continuerebbe a metter la discordia in famiglia, come per il passato, e Columba continuerebbe a soffrire. Meglio lasciar correre. Il tempo porterà rimedio a tutto. Columba se ne andrà col suo sposo ricco, una vita nuova comincerà per lei; il nonno andrà spesso a trovarla, farà cavalcare il suo bastone ai bambini di lei, li condurrà sul suo cavallo, darà l’ordine ai suoi servi perchè col formaggio fresco facciano agnellini, uccellini, treccie e amuleti, da regalarsi ai nipotini. I tempi tristi son finiti.