Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/164

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— Se non volete nulla vado anch’io. — disse Pretu, — giusto mia madre vuole andare in chiesa ed io guarderò il bambino piccolo.

— Va pure; ricordati di comprare la candela.

— Ziu Jò, — annunziò con voce dispettosa il ragazzo, — i soldi son finiti, lo sapete.... E voi date il pane a quello sfaccendato....

Jorgj sospirò infastidito, guardando fuor della porticina. Il tempo era bello e il riflesso delle chine coperte di erba brillante arrivava fino alle pareti della stamberga.

— Saran le due, Pretu. Alle quattro verrà il dottore e gli ricorderò che bisogna far l’atto di vendita della casa.

Pretu sollevò e lasciò ricadere rumorosamente il coperchio della cassa: nello stesso tempo qualcuno battè forte alla porta del cortile e il malato trasalì, non seppe per quale dei due rumori.

— Chi sarà? — domandò, fissando gli occhi spalancati negli occhi spalancati di Pretu. — Il dottore no, certo.

E Pretu non avrebbe aperto se una voce rauca non avesse gridato:

— Posta!

Una corrente d’aria fresca attraversò la stamberga, e il postino, o meglio uno dei vetturali che facevano il servizio della diligenza fra Nuoro e Oronou, entrò con un pacco e uno scartafaccio in mano. Era un uomo alto e scarno, vestito con una vecchia divisa da cantoniere i cui filetti rossi si erano come arrugginiti. Anche la pelle del suo viso, aderente alle ossa, era d’un rosso di ruggine, essiccata dal vento e dal sole; ma sotto le sopracciglia rossiccie sporgenti come cespugli secchi sull’orlo della roccia gli occhi d’un azzurro metallico sorridevano; ed egli portò nella stamberga come un soffio dei grandi paesaggi che attraversava ogni giorno.