Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/165

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Pacco! Da Nuoro! Firma! gridò con la sua voce rauca. — E come andiamo, Jorgj?

Lasciò cadere il pacco — una cassetta con la cordicella e i sigilli rossi già staccati dalle assicelle — e il tavolinetto di Jorgj traballò sotto il peso insolito.

Il malato taceva guardando l’uomo e la cassetta con occhi quasi selvaggi; solo il ricordo che ogni anno per Pasqua la moglie di zio Conzu gli mandava da Nuoro certe focacce di pasta e cacio fresco lo tratteneva dal respingere il pacco.

— Come stai, dunque? Pensa, pensa ad alzarti, poltrone!

— Potessi, — mormorò Jorgj sporgendo il braccio per cercare la penna.

— Se vuoi puoi, con l’aiuto di Dio! Ebbene, anch’io, questo gennaio scorso, dopo Sant’Antonio, ho avuto una gamba rattrappita. Tutti dicevano: è la paralisi, perchè sta sempre seduto. Io un giorno, là alla cantoniera di San Giovanni dove sta mio fratello, dissi: o la gamba guarisce o me la faccio tagliare: tanto non ne ho di bisogno: le redini non lo prendo coi piedi.

Ebbene, sai cosa ti dico? Questa qui (si battè la mano sulla gamba in questione) ha avuto paura; e s’è mossa, questa poltronaccia. Ancora qualche volta fa la poltrona e si fa trascinare, ma io le dico: marcia, con l’aiuto di Dio. Va bene, firma lì: hai le mani bianche, poltrone! Alzati, alzati, che fai bene!

— Avete più veduto zio Conzu? domandò Jorgj rimettendo la penna.

— L’ho visto domenica: anzi bisogna che mi ricordi di passare da sua moglie perchè deve darmi qualcosa per te.

— Allora non è suo questo pacco!

— Può darsi che sia suo: come ti dico è da