Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/239

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— Tu parli così, adesso, perchè sei contento: lo so, sì, che sei contento.... Ma quando sarai di nuovo solo, chiuderai di nuovo la porta....

— No, no, vedrai: non sarò più solo....

E di nuovo tacquero. Nè L’uno nè l’altra pronunziarono il nome della straniera; ma ella era in mezzo a loro, ed egli la vedeva, bianca e ridente, con le vesti che pareva sussurrassero esalando un profumo di fiori; e gli sembrava che ella spalancasse la porta della stamberga e fosse lei a far inargentare il cielo sopra l’altipiano, a far cessare il vento, nell’alba di maggio, a far cantare le cinzie fra i cespugli umidi del ciglione.

Anche Columba credeva di vederla, bianca, con gli occhi scintillanti, come quella mattina su al balcone del Municipio: la sua voce lo diceva: «Vattene, vattene; non ti vergogni a star qui, dopo che ti sei legata con quell’altro?»

Sì, bisognava andarsene: era l’alba, il nonno poteva tornare da un momento all’altro, trovarla lì, bastonarla.

La realtà, la riprendeva, a misura che la luce penetrava dal finestrino e dalle fessure della porta.

Pretu rientrò.

— Il vento è cessato; finalmente torna il bel tempo. Ecco il latte; ma mi ha dato una cattiva misura, stamattina, zia Artura.

Jorgj guardava Columba pallida come l’alba, e pensava:

«Perchè non è venuta prima? Ne avrei davvero provato tanta gioia da sollevarmi. Adesso è tardi.... è troppo tardi....»

— Quando ti sposi? — le domandò.

— A Pentecoste.

Così presto? Te ne vai subito?

— Subito.