Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/273

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Quanti ricordi lungo la via, attraverso le brughiere dei monti di Lula, attraverso le macchie che lo avevano veduto fanciullo in groppa al cavallo del nonno, poi adolescente selvaggio, poi sposo accompagnato dalla sposa, anima lucente e inflessibile come l’acciaio; poi uomo incalzato dalle passioni più violente, l’odio, la sete di vendetta che spesso prende l’apparenza di sete di giustizia, eroe errante, cacciatore e selvaggina al tempo stesso, cuore d’aquila che sfugge al nemico, occhio d’avvoltojo che lo cerca.... e adesso vecchio che aveva sepolto le sue passioni inutili e pericolose come il mendicante ladro aveva sepolto il tesoro rubato....

Sì, egli sentiva che qualcosa s’era spezzata entro di lui ed era precipitata in un abisso come la pietra che si stacca dalla cima della roccia percossa del fulmine.

«E se Columba fosse morta?» pensava continuamente.

Neppure la morte di sua moglie, neppure il pericolo ch’ella aveva corso una volta nella foresta quando egli aveva urlato come un leone, l’avevano colpito come lo svenimento di Columba. Egli tentava di liberarsi dalla sua idea fissa, cercando come altre volte di risalire il fiume dei suoi ricordi, ma ogni tanto il suo pensiero tornava là, all’ombra della quercia, e il viso bianco di Columba, i suoi occhi chiusi, il suo corpo inerte, gli stavano continuamente davanti.

«Sei rimbambito, Remundu Corbu, — diceva a sè stesso, battendo il pugno sul pomo della sella. — La tua schiena è come la canna fracida ».

In fatti s’era alquanto incurvato, in quei due giorni; ogni tanto si raddrizzava per ripiegarsi tosto. L’unica spiegazione che riusciva a soddisfarlo, a confortarlo per la sua improvvisa debolezza di corpo e di mente era questa: