Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/272

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abbassò la testa come per ricordarsi cos’era accaduto; poi balzò in piedi vergognosa della sua debolezza.

— Ah, le forze mi son mancate; che dirai, Zuampredu Cannas? Ah, fratelli miei, non lo dite a nessuno!

I giovani la circondarono ridendo, tuttavia ancora un po’ spauriti per l’incidente che aveva offuscato la loro gioia.

— Oh, che donna sei! Di formaggio fresco?

— Dritta, su, se no ti leghiamo in mezzo a tre canne come l’alberello di susine....

— Columbè, scusami! — esclamò allora zio Innassiu tendendole la mano, un po’ timido e pentito. — Io credevo che sapeste già!

Ma Zuampredu s’interpose di nuovo, energico, e battendo una mano sulla spalla del vecchio lo fissò coi suoi occhi limpidi.

— Ziu Innà, sentitemi. Lasciateci andare, abbiamo fretta di arrivare: se babbu Corbu ha da schiarire cose con voi che egli rimanga; ci raggiungerà. Egli è ancora svelto.

Il nonno era diventato pensieroso e pareva un altro uomo, col braccio appoggiato al fianco del cavallo, la testa cuna. Ma quando tutti furono di nuovo in sella egli accennò verso la strada e disse con voce mutata:

— Andate: vi raggiungerò.

Così i due antichi avversari rimasero soli, all’ombra della quercia, in faccia alla chiesetta che non aveva accolto la loro promessa di pace.



Al ritorno, dopo aver raggiunto e accompagnato gli sposi fino alla loro casa, il nonno andò alla chiesa di San Francesco.