Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/271

Da Wikisource.

— 261 —


— Columba! Columba!

— Columbè, anima mia!

Il luogo tranquillo risuonò di grida; in un attimo tutti formarono un gruppo nero attorno a quel corpo che si abbandonava come morto sul terreno umido. Maria Juanna però fece cenno a tutti di scostarsi; sedette per terra e appoggiò sulle sue ginocchia la testa di Columba, ordinando a Zuampredu: — Stendile bene sul suolo le gambe.... Datemi un po’ di vino, — aggiunse, slacciandole il corsetto.

Le diedero il bicchiere dove aveva bevuto zio Arras, e solo allora il vecchio impassibile parve commuoversi. Anche zio Remundu taceva guardando Columba come spaventato. S’ella fosse morta? Egli, egli l’aveva uccisa.

E sognò un orribile sogno: Columba stesa sul carro nuziale, quello che trasportava le suo robe da Oronou a Tibi (le corna dei buoi erano coperte di foglie e di fiori come rami a primavera), Columba che ritornava verso il paese natìo, dopo il suo viaggio fatale, già stanca e muta ancor prima di esser giunta alla sua casa nuova; e lo sposo che tolto dalla bisaccia e indossato di nuovo il suo vestito da vedovo, seguiva il carro nuziale trasformato in carro funebre....

Era una cosa talmente iniqua e contro natura che il nonno si ribellò; un istinto di reazione lo spinse a rivolgersi contro l’antico nemico. Bisognava che qualcuno pagasse per la sorte crudele.

— Innassiu Arras, sarai contento! Ecco cos’hai fatto!

Ma Zuampredu curvo ansante su Columba si sollevò diventato anche lui feroce.

— Basta, perdio! Zitti; ritorna in sè.

Ella infatti riaprì gli occhi, si rialzò a sedere,