Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/227

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note 177


qui si osservi il lutto. Le nostre finestre son chiuse ed io non mi posso neppure avvicinare ai vetri. Per due o tre mesi noi donne dobbiamo stare ermeticamente chiuse in casa e poi ci sarà concesso di uscire sì, ma per ricambiare solo le visite o per andare in chiesa. Niente passeggio, a meno che non sia in campagna, nessuno svago, e un contegno sempre rigorosamente triste... E così per tre o quattro o magari cinque anni. Per buona fortuna io sono quasi avvezza a questa tetra esistenza, e spero di cambiarla fra due anni al più tardi; altrimenti questo lutto artificiale unito al lutto intimo, mi ucciderebbe...» (novembre 1892).

A Onorato Roux: lettera del marzo 1907, pubblicata in Infanzia e giovinezza di illustri italiani contemporanei, Ed. Bemporad, Firenze, 1908, vol. I, parte 2a:

«Mio padre era un uomo intelligentissimo: poeta estemporaneo, dialettale. Di una bontà incredibile, egli conservava, forse, la sua natura di poeta anche nel trattare gli affari, perché aveva fiducia di tutti, aveva pietà di tutti, si lasciava raggirare da tutti. La nostra casa era come una specie di piccolo albergo gratuito. Da venti paesi del circondario di Nuoro venivano ospiti che se ne stavano due, tre e persino otto giorni in casa nostra. Erano tipi caratteristici; popolani, borghesi, preti, nobili, servi, dei quali io conservo vivissimo il ricordo...».


Pag. 80.

Roma era la sua mèta... Quante volte, nei romanzi anche dopo che la D. si fu incontinentata, ritorna come motivo di racconto questo fascino di Roma: Cenere, Nostalgie ecc. Scriveva a Epaminonda Provaglio nel febbraio 1895: «Il mio più bel sogno è sempre di poter venire a Roma per conoscere un po' di questo mondo che tutti vogliono farmi credere brutto, mentre a me invece pare bellissimo. Ma chi sa quando ciò sarà, chi sa quando? Non ho nessuno che possa accompagnarmi; e poi c’è un’altra cosa: io vorrei viaggiare con lusso e fare un po’ di figura... ».


Pag. 98.

Rosa di macchia: in realtà, Fior di Sardegna. (La prefazione, dell’A., al Fiore, comincia con queste parole: «Fermarsi in un sito sconosciuto e montuoso dell’isola di Sardegna, cogliere fra i lentischi e le rocce una timida rosa montana nata all’ombra degli elci e fra i profumi delle folte borraccine — esaminarla foglia per foglia... ecco lo scopo del presente racconto ». Il roman-