Pagina:Deledda - Le colpe altrui.djvu/255

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Egli non osava; sorrise però, guardando lontano. Non era la prima volta che parlavano di queste cose, e Vittoria si confortava pensando che oramai Mikali era un buon marito, un buon capo di famiglia; aveva anche lui fatto la sua giovinezza com’è bene che tutti gli uomini la facciano, come il servizio militare; ma appunto come i reduci dal servizio militare egli si compiaceva a volte a raccontare le vicende di quel periodo avventuroso, esagerandole alquanto, ed ella sentiva per istinto ch’egli rimpiangeva senza volerlo, forse senza saperlo ancora, il suo passato libero e selvaggio. Sì, egli aveva domato la fortuna come un puledro, e adesso la cavalcava comodamente come cavalcava il cavallo di Bakis Zanche; ma spesso guardava davanti a sè lontano e un vago rimpianto gettava un velo fra lui e il passato, rendendo questo bello e fantastico come i vapori di quel pomeriggio di giugno rendevano belle le lontananze.

— Non lo nego; sono io che ti sono corso addietro, Vittoria! Come non farlo? Se tu avessi continuato a dire di no, non so cosa sarebbe accaduto di me. Ma se partivo, così Dio mi assista, diventavo un altro Mikali; chi sa cosa diventavo!

— Altri ne son partiti e son tornati peggio di prima.

— Ma io sono diverso da loro! Non sono un manovale nè un mandriano, io! Un uomo come me trova fortuna da per tutto: non sono stato forse fortunato anche senza partire? — concluse per adularla: e poichè lei rideva, un po’