Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/117

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Ma intanto pensava alle sere luminose in riva al suo gran fiume, e rivedeva l’aperto orizzonte, il cielo colorato di viole e di gerani, gli sfondi infiniti delle acque, dei boschi, della pianura.

Ella passava lungo l’argine, riflettendo negli occhi il tenero splendore dell’acqua di un lilla roseo, del cielo che ardeva dietro i boschi, dell’erba tiepida che copriva gli argini. I piccoli salici giovani si curvavano a bere l’acqua luminosa e pareva bevessero, bevessero, arsi da una sete inestinguibile. Ella passava: e come i giovani salici beveva, beveva nel fiume luminoso dei sogni.

Che orizzonti senza confine, che profondità d’acque, che teneri gridi lontani, condotti dalle onde, smorzati dalla sera! Erano i gridi degli uccelli del bosco? Erano i gridi, le voci di un mondo lontano? Era il picchio che batteva sul pioppo? Oh, no; era il piede di lei che batteva il pavimento, era la pendola che palpitava indifferente nella penombra del salottino, era il canarino recluso che gemeva di nostalgia nella finestra sopra il lurido abisso del cortile...

Regina balzò in piedi con un movimento ribelle e disperato, soffocata da un senso di rabbia. Pensava: — Appena torna glielo dico, glielo grido: perchè mi hai tolto di là? Perchè mi hai portato qui? Che cosa faccio io qui? Io me ne vado, io voglio aria, voglio luce. Tu non potevi darmi neanche aria, neanche luce, e non me lo dicevi! Che ne sapevo io che il mondo fosse così? Porta via tutti questi gingilli, questi stracci, io non li voglio; io voglio solo aria, aria, aria! Io soffoco, vi odio, vi odio tutti, io