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ATTO I. SCENA V. 29

Piangiamo, e lui per sue tante sciagure;
Ma de’ Numi il timor più oprar ne vieta.
edipo.
Che val perchè in voi sia tanta di gloria
E di onestà la fama? E a me che giova
Avere Atene di pietosa il grido
E d’aitar gli infelici ospiti? quando
Me discacciate, del mio solo nome
Paurosi, non già del fragil corpo,
O dell’opre: che, quanto all’opre, io nullo
Altrui danno recai; me solo offesi.
Che, se del padre e della madre, ond’io,
Ben lo veggio, cotanto orror v’ispiro,
Narrar dovessi, chi può reo chiamarmi
Se provocato vendicai l’offesa?
Di che niuno me conscio anco del fatto
Redarguir potria: ma nulla io seppi,
E que’ soli il sapean che in tanto abisso
Mi strascinar. Per queste Dive adunque
Di salvarmi vi prego, or che m’avete