Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/299

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parte seconda. 291

Poi che mi trovo nel mondo, sono smanioso di agire, e vo’ di tratto dispormivi; tu ne sai quanto basta per accorciarmi il cammino.

Wagner. Ancora una parola! Finora sommi sentito compreso da confusione, quantunque volte giovani e vecchi trassero ad assalirmi con loro problemi. E per accennarne alcuno, non v’era chi valesse a comprendere come l’anima e ’l corpo, che insieme s’accordano a meraviglia, e l’uno all’altra si tiene così strettamente congiunto da parere al tutto inseparabili, si facciano poi senza posa una guerra così accanita da doverne andare attossicata la esistenza; inoltre...

Mefistofele. Taci una volta! Io vorrei piuttosto chiedere come mai l’uomo e la donna così poco se la intendano; eccoti, mio caro, una questione, che a volerla sciogliere, proverai non lieve imbarazzo. Quivi s’ha da operare, chè ciò appunto l’omiciatto desidera.

Homunculus. Che debbo io fare?

Mefistofele addilando una porta laterale. Mostra colà ciò che possa il tuo ingegno.

Wagner, fissando sempre la guastada. In fede mia, che tu se’ un grazioso monellino! (La porta laterale si apre, e lascia vedere Fausto supino sur un letto.)

Homunculus tutto attonito.

   Oh vista! Oh meraviglia!
(La guastada scivola di mano a Wagner, e aggirandosi sul capo di Fausto, lo illumina.)
                                        Ecco un ricinto

    che va aggirandosi per l’aere trascinandoselo addietro: «Noi terminiamo sempre col dipendere dalle creature a cui abbiam data la vita.»