Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/300

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292 fausto.

Pien di care armonie! Di spesse piante
Al rezzo amico che da’ raggi ardenti
Lo ripara del Sol, limpido stagno! —
Fanciulle — oh come belle! — crëature
Celesti! al margo, di slacciar in atto
Le virginee lor zone: — una fra quelle —
Bene stà! bene! sempre meglio! — porta
Alla via più la fronte incoronata
Di tutte grazie; ell’è per certo donna
Dal sangue uscita degli eroi, de’ numi!
Entro all’onda gentil le piante immerge,
E del nobil suo velo il sacro in quella
Ardor vitale ammorza. Oh! zitto! udite!
Qual d’ali scosse strepito improvviso!
Qual repentino suon del chiaro in seno
Speglio si desta! — Qual non aspettato
Rumor! — Da tutte parti seminude
Sotto all’ombria degl’intrecciati rami
Fuggon le forosette alla ventura.
Sola rimansi la reina, e intorno
Studiosamente altero e insiem tranquillo
L’occhio rivolge per veder leggiadro
Cigno regal che palpita fra l’erbe.
Mesto e dolce ad un tempo ecco s’avanza,
E vagheggia, e s’accosta, ed a’ ginocchi
Fin le si reca. Oh! ve’ come s’accende
La sua pupilla! Oh! come il manto spiega!
Lussurioso augello, egli osa, ei preme....
Ahimėl che il cigno, e la donzella, e il molle
Seno di lei totto dilegua, e denso
Vapor dall’acque esala che de’ suoi
Tepidi fiati l’aura imbalsamando