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296 caos del triperuno


A ffrettati, Lagnilla, e qui Galanta [Lascivia.]
T ien modo di condur furtivamente,
Q uando ch’ella non esce mai di ciambra. —
V enne la ninfa chiesta finalmente,
E tutto di rossore il viso ammanta.

— G alanta mia — dicea l’imperatrice —
A lza la fronte e mira il novo amante! —
L evo la vista, dunque, ove si elice
E eco una fiamma ed ove un cieco infante,
R accolto l’arco e la saetta, altrice
A hi! di quanti martiri, lo diamante
T rito mi ruppe al petto e quindi svelse
I l cor giá fatto de’ sospiri al vento
S tridente face e d’acque un fiume lento.

O h quante da quell’ora incomenciaro
P ene, tormenti, affanni, sdegni ed ire,
T ravagli, doglie, angoscie e zelosie!
A rsi, alsi di ghiaccio e fiamme dire,
T al che ’l dolce al fin divenne amaro.

I mperò ch’una Laura sozza e lorda,
N efanda, incantatrice, invidiosa
E ra del nostro amor la lima sorda.
S orda lima costei fu senza posa,
S enza quiete mai, del dolce nodo,
E bra sol di spuntar col chiodo il chiodo. [Clavus clavo extruditur.]

T ant’ella fece, ch’io nel fin m’accorsi
O mbrosa esser cotesta ria cavalla.
G alanta ne ridea, donde piú acerba,
I niqua piú, ne venne ai duri morsi,
S í ch’io le scrissi questo in una querza: