Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/337

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dell'impero romano cap. xviii. 331

Massenzio e Licinio, aveva guadagnato in suo favore le inclinazioni del popolo, che confrontava gli aperti vizi di que’ tiranni collo spirito di prudenza e di giustizia, che sembrava dirigere la general condotta di Costantino1. Questo è il carattere che Costantino avrebbe, con poche eccezioni, trasmesso alla posterità, se fosse morto sulle rive del Tevere, o anche nelle pianure d’Adrianopoli. Ma il fine del suo regno (secondo la moderata e veramente mite sentenza d’un autore del medesimo secolo) lo degradò da quel posto, che s’era acquistato fra’ più degni Principi Romani2. Nella vita d’Augusto s’osserva il tiranno della Repubblica convertito quasi per insensibili gradi nel padre della sua patria e del genere umano. In quella di Costantino si può considerare un Eroe, che aveva per tanto tempo inspirato l’amore di se ne’ suoi sudditi, ed il terrore ne’ suoi nemici, che degenera in un crudele e dissoluto Monarca, corrotto dalla propria fortuna, o dalla

  1. Le virtù di Costantino si son prese per la massima parte da Eutropio e da Vittore il giovane, due Pagani sinceri, che scrissero dopo l’estinzione della famiglia di esso. Anche Zosimo e l’Imperator Giuliano confessano il suo coraggio personale e le militari sue perfezioni.
  2. Vedi Eutropio X. 6. In primo Imperii tempore optimis Principibus, ultimo mediis comparandus. Dall’antica versione Greca di Peanio (Edit. Havercamp. p. 697.) sono inclinato a sospettare ch’Eutropio avesse originalmente scritto vix mediis, e che quest’odioso monosillabo fosse tolto di mezzo dall’affettata inavvertenza de’ copisti. Aurelio Vittore esprime l’opinion generale per mezzo d’un volgare, e veramente oscuro proverbio; Trachala decem annis praestantissimus: duodecim sequentibus latro; decem novissimis pupillus ob immodicas profusiones.