Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/420

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414 storia della decadenza

che la maggiore di lui età e condizione gli permetteva di prendere, ed esortando il nuovo Cesare a meritare con eroici fatti quel sacro ed immortal nome, l’Imperatore diede al suo collega i più forti contrassegni di un’amicizia che non sarebbe mai stata diminuita dal tempo, nè interrotta dalla lor separazione o dimora ne’ climi più distanti fra loro. Finito che fu il discorso, le truppe batterono gli scudi contro le ginocchia in segno di applauso1, mentre gli uffiziali, che circondavano il Tribunale, esprimettero con decente riserva, l’idea che avevan de’ meriti del rappresentante di Costanzo.

I due Principi tornarono al Palazzo nel medesimo cocchio, e nel tempo della lenta processione Giuliano ripetea fra se stesso un verso del suo favorito Omero, che poteva ugualmente applicare alla sua fortuna ed a’ suoi timori2. I ventiquattro giorni, che Cesare passò a Milano dopo la sua investitura, ed i primi mesi del suo Gallico regno furono soggetti ad una splendida ma severa schiavitù, nè l’acquisto degli onori poteva compensare la perdita della sua libertà3.

  1. Militares omnes horrendo fragore scuta genibus illidentes, quod est prosperitatis indicium plenum, nam contra cum hastis clypei feriuntur irae documentum est et doloris. Ammiano aggiunge con una delicata distinzione; cumque, ut potiori reverentia servaretur, nec supra modum laudabant, nec infra quam decebat.
  2. Ἔλλαβε πορφύρεος θάνατος, καὶ μοῖρα καραταίλ: l’occupò la purpurea morte, ed il fato violento. Iliad. E. v. 83. La parola porpora, che Omero aveva usato, come un indeterminato, ma comune epiteto della morte, da Giuliano s’applicava ad esprimer molto a proposito la natura e l’oggetto delle proprie apprensioni.
  3. Egli rappresenta ne’ termini più patetici (p. 277) le an-