Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/445

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. xix. 439

conquiste de’ Germani s’estesero sopra quaranta miglia a ponente di quel fiume in un paese popolato di colonie del proprio lor nome e nazione; ed il teatro delle loro devastazioni era tre volte più esteso di quello delle loro conquiste. Ad una distanza anche maggiore restarono abbandonati i luoghi aperti della Gallia, e gli abitanti delle città fortificate, che confidavano nella propria forza e vigilanza, furono costretti a contentarsi di que’ sussidj di grano, che poteva nascere nel terreno compreso dentro il recinto delle lor mura. Le diminuite legioni, mancanti di paga e di provvisioni, di armi e di disciplina, tremavano all’avvicinarsi, e fino al nome stesso de’ Barbari.

In tali triste circostanze fu destinato un inesperto giovane a salvare e governar le Province della Gallia, o piuttosto, come si esprime egli stesso, a rappresentare una vana immagine della grandezza Imperiale. La ritirata e studiosa educazione di Giuliano, durante la quale s’era più addomesticato co’ libri che colle armi, co’ morti che co’ viventi, lo lasciò in una profonda ignoranza delle arti pratiche della guerra e del governo; e quando egli sgarbatamente ripetea qualche esercizio militare, ch’era per lui necessario d’apprendere, esclamava sospirando, „o Platone, Platone, qual occupazione per un filosofo!„ Pure anche questa speculativa filosofia, che gli uomini d’affari son trop-

    e buon senso dal Biet, che ha dimostrato con una serie di prove il loro possesso non interrotto di Toxandria per cento trent’anni avanti l’avvenimento al trono di Clodoveo. La dissertazione del Biet fu coronata dall’accademia di Soissons l’anno 1736 e pare che giustamente si preferisse al discorso del suo più celebre competitore l’Abate Le Boeuf, antiquario, il cui nome era felicemente espressivo de’ suoi talenti.