Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/463

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dell'impero romano cap. xix. 457

dignità reale, poteva qualche volta pretendere di correggere la rapace insolenza degli agenti inferiori, di porre in chiaro i corrotti loro artifizi, e d’introdurre una specie d’esazione più uguale e più facile. Ma il maneggio delle finanze fu con maggior sicurezza affidato a Florenzio, Prefetto del Pretorio della Gallia, effeminato tiranno, incapace di pietà o di rimorsi; ed il superbo ministro dolevasi della più decente e gentile opposizione, mentre Giuliano stesso era piuttosto inclinato a censurare la debolezza della sua propria condotta. Cesare avea rigettato con orrore un mandato per la leva d’una tassa straordinaria, che il Prefetto gli aveva presentato per la sua sottoscrizione; e la pittura fedele della pubblica miseria, con cui era egli stato obbligato a giustificare il suo rifiuto, offese la Corte di Costanzo. Possiamo avere il piacere di leggere i sentimenti di Giuliano, quali esso gli esprime con calore e libertà in una lettera ad uno de’ suoi più intimi amici. Dopo d’aver esposta la sua condotta, prosegue in questi termini. „Era egli possibile per un discepolo di Platone e d’Aristotile il procedere diversamente da quel che ho fatto? Poteva io abbandonare gl’infelici sudditi, affidati alla mia cura? Non era io chiamato a difenderli dalle replicate ingiurie di questi insensibili ladroni? Un Tribuno, che abbandona il suo posto, è punito di morte, e privato degli onori della sepoltura. Con qual giustizia pronunziar potrei la sentenza contro di esso, se nel tempo del pericolo io medesimo trascurassi un dovere molto più sacro ed importante! Dio mi ha collocato in questo sublime posto; la sua Providenza mi guarderà e sosterrà. Quand’anche fossi condannato a patire, mi conforterò col testimonio