Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/465

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dell'impero romano cap. xix. 459

ventù non temeva più il matrimonio, nè i coniugi temevan più la posterità; si celebravano le pubbliche e private feste colla solita pompa; ed il frequente e sicuro commercio delle Province spiegava l’immagine della nazionale prosperità1. Uno spirito, come quel di Giuliano, dovea sentire la general felicità, della quale era l’autore; ma egli vedeva con particolar soddisfazione e compiacenza la città di Parigi, sede del suo invernal soggiorno, ed oggetto anche della sua parziale affezione2. Quella splendida capitale, che adesso contiene un vasto territorio da ambe le parti della Senna, era in principio ristretta alla piccola isola, che è nel mezzo del fiume, da cui gli abitanti eran forniti d’acqua pura e salubre. Il fiume bagnava il piè delle mura, e la città non era accessibile, che per mezzo di due ponti di legno. Dalla parte settentrionale della Senna stendevasi una foresta; ma al mezzodì il suolo, che adesso ha il nome dell’Università, fu insensibilmente coperto di case, e adornato d’un palazzo, d’un anfiteatro, di bagni, d’un acquedotto e d’un campo Marzio per esercizio delle truppe Romane. Il rigore del clima era temperato dalla vicinanza dell’Oceano; e con qualche precauzione, insegnata dall’esperienza, si coltivavan con frutto le viti

  1. Libanio Orat. Parent. in Imp. Julian. I. c. 38; in Fabr. Bibl. Graec. Tom. VII. p. 263, 264.
  2. Vedi Giuliano in Misopogon. p. 340, 34l. Lo stato antico di Parigi è illustrato da Enrico Valesio (ad Ammiano XX. 40), dal suo fratello Adriano Valesio e dal Danville (nelle respettive loro Notizie dell’antica Gallia), dall’Abbate di Longuerue (Descript. de la Franc. T. I. p. 12, 13) e dal Bonamy (Mem. dell’Accad. delle Inscriz. Tom. XV. p. 656, 691).