Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/135

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dell'impero romano cap xlvii. 129

una legge, che escludeva i nativi del paese dagli onori, e dagli impieghi lucrosi dello Stato.

Rimaneva da farsi una conquista più rilevante, quella del Patriarca, oracolo e Capo della Chiesa egiziana. Aveva resistito Teodosio alle minacce e alle promesse di Giustiniano col coraggio d’un Apostolo, ovveramente d’un entusiasta. „Non furono diverse, rispose il Patriarca, le offerte del tentatore quando mostrava i reami della terra; a me sta più a cuore l’anima che la vita o l’autorità. Stanno le Chiese nelle mani d’un principe, che può uccidere il corpo; ma la mia coscienza è mia, e nell’esilio, nella povertà, nei ceppi resterò costantemente fedele alla credenza de’ miei santi predecessori Atanasio, Cirillo e Dioscoro. Anatema al tomo di Leone, e al Concilio di Calcedonia! anatema a chi ammette la lor dottrina! e adesso e per sempre sieno caricati d’anatemi! Io sono uscito nudo del seno di mia madre, nudo discenderò nel sepolcro; mi seguano coloro che amano Iddio e cercano la salute„. Dopo aver consolato e rincorato i suoi fratelli, salpò alla volta di Costantinopoli; e in sei abboccamenti successivi sostenne senza vacillare l’assalto quasi irresistibile della presenza del sovrano. Le sue opinioni eran favoreggiate nel palazzo e nella capitale; il credito di Teodora lo francheggiava e gli promettea un congedo decoroso; egli terminò la sua carriera, non già sulla cattedra episcopale, ma nel suo paese nativo. Alla nuova della sua morte, Apollinare spinse l’indecenza sino a farne festa in un divertimento dato alla Nobiltà ed al clero; ma fu turbata la sua allegrezza dalle nuove che presto ricevette della dominazione del successor di Teodosio; e mentre si