Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/87

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dell'impero romano cap. xxv. 83

stanze si erano praticati dall’astuto Giugurta. Ei tentò d’ingannare con un’apparente sommissione la vigilanza del Generale Romano, di sedurre la fedeltà delle sue truppe, e di prolungar la durata della guerra coll’impegnar l’una dopo l’altra le tribù indipendenti dell’Affrica ad abbracciare il partito, ed a proteggere la fuga di esso. Teodosio imitò l’esempio, ed ebbe il successo del suo predecessore Metello. Quando Firmo in aria di supplicante accusò la sua temerità, ed umilmente sollecitò la clemenza dell’Imperatore, il Luogotente di Valentiniano lo accolse, e lo licenziò con un amichevole abbraccio; ma premurosamente richiese i sodi e sostanziali contrassegni d’un pentimento sincero; nè dalle assicurazioni di pace si potè mai persuadere a sospendere per un momento le operazioni d’un’attiva guerra. Dalla penetrazione di Teodosio fu scoperta un’oscura cospirazione; ed egli soddisfece, senza molta ripugnanza, il pubblico sdegno, che segretamente aveva eccitato. Molti de’ rei complici di Firmo furono abbandonati, secondo il costume antico, al tumulto d’una esecuzion militare; molti altri più, mediante l’amputazione di ambe le mani, continuarono a presentare un istruttivo spettacolo d’orrore; l’odio dei ribelli era accompagnato da timore; ed il timore, che avevano dei soldati Romani, era mescolato con una rispettosa ammirazione. Fra le immense pianure della Getulia, e le innumerabili valli del monte Atlante era impossibile d’impedir la fuga di Firmo; e se avesse l’usurpatore potuto stancare la pazienza del nemico, avrebbe posto in sicuro la sua persona in fondo a qualche remota solitudine, ed avrebbe potuto aspettar la speranza di una ribellione futura. Ei fu vinto però dalla perseveranza di Teo-