Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/447

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dell'impero romano cap. xxxv. 441

pagni non l’avesse liberato da tale pericolosa situazione. In simil guisa, ma dalla parte sinistra della linea, Ezio medesimo, separato da’ suoi alleati, non sapendo la loro vittoria, e dubbioso del loro destino, incontrò ed evitò le truppe ostili ch’erano sparse per le pianure di Scialons, e finalmente giunse al campo de’ Goti, cui non potè fortificare, che con un tenue trinceramento di scudi fino alla punta del giorno. Il Generale Imperiale ebbe tosto la soddisfazione di veder la disfatta d’Attila, che rimase inattivo dentro le sue trincere; e quando rimirò la sanguinosa scena, osservò con segreta compiacenza, che la perdita era principalmente caduta su’ Barbari. Il corpo di Teodorico, trafitto da onorate ferite, fu trovato sotto un mucchio di cadaveri; i suoi sudditi piansero la morte del Re e del Padre loro; ma le loro lagrime furon mescolate con canti ed acclamazioni, e ne furon fatte le cerimonie funebri in faccia ad uno sconfitto nemico. I Goti, battendo le loro armi, elevarono sopra uno scudo Torrismondo suo figlio maggiore, a cui giustamente attribuivan la gloria del loro felice successo; ed il nuovo Re accettò l’obbligo della vendetta, come una sacra porzione della paterna sua eredità. Pure i Goti medesimi eran sorpresi dal fiero ed indomito aspetto del loro formidabil nemico; ed i loro Istorici hanno paragonato Attila ad un leone, circondato nella sua tana, e che minaccia i cacciatori con sempre maggior furore. Ai Re ed alle nazioni, che avessero abbandonato le sue bandiere nel tempo delle avversità fu fatto intendere, che il cadere in disgrazia del loro Monarca sarebbe stato per esse il più imminente ed inevitabil pericolo. Tutti i suoi strumenti di musica militare suonavano in alto ed animoso tuono di disfida; e le