Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/109

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dell'impero romano cap. xliii. 105

Roma fu ben presto ricuperata mediante una di quelle azioni alle quali, secondo l’evento, l’opinione pubblica suole applicare i nomi di temerità o di eroismo. Poscia che partito fu Totila, il Generale romano sortì dal Porto conducendo mille cavalli, tagliò a pezzi i nemici che s’opponevano al suo andare, e visitò con pietà e con ossequio lo spazio vacante della città sempiterna.

Deliberato di custodire un posto così riguardevole agli occhi del genere umano, egli raccolse la maggior parte delle sue truppe intorno al vessillo da lui piantato sul Campidoglio. L’amor della patria, e la speranza di trovar cibo, richiamò nella città i suoi antichi abitanti; e le chiavi di Roma furono mandate per la seconda volta all’Imperator Giustiniano. Le mura, ovunque erano state demolite dai Goti, si ripararono con materiali rozzi e dissimili; si ristorò il fosso, si piantarono in abbondanza i triboli1, per guastare i piè dei cavalli, e siccome non si poteva subito rifabbricar nuove porte, si pose a guardia dell’ingresso lo spartano riparo de’ più valenti guerrieri. Allo spirare di venticinque giorni, Totila ritornò con frettolose marcie dall’Apulia per vendicare il

    mos aliquantas igni comburens, ac omnes Romanorum res in praedam accepit, hos ipsos Romanos in Campaniam captivos abduxit. Post quam devastationem, XL aut amplius dies, Roma fuit ita desolata, ut nemo ibi hominum, nisi (nullae?) bestiae morarentur (Marcellin. in Chron. p. 54).

  1. I Triboli sono ferri con quattro punte, una delle quali si pianta in terra, e le tre altre sorgono verticali od oblique (Procopio, Got. l. III c. 24. Giusto Lipsio, Poliorcete, l. V c. 3). La metafora è tolta dai triboli, pianta che produce frutti spinosi, comune in Italia (Martino, ad Virgil. Georg. I, 153, vol. II p. 33).