Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/335

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dell'impero romano cap. lviii 329

molta mano di questi pietosi volontarj, nè anco videro Nicea, o Costantinopoli. Capriccioso e di breve durata è il predominio dell’entusiasmo: laonde una parte di que’ pellegrini, la ponderazione, o la paura, la debolezza o la indigenza rattennero: altri tornarono addietro spaventati dagli ostacoli del cammino, tanto meno superabili, che que’ fanatici ignoranti non gli aveano preveduti. Le ossa di una gran parte di costoro copersero i paesi inospiti dell’Ungheria e della Bulgaria. Il loro antiguardo dal Sultano de’ Turchi fu fatto in pezzi; e già la perdita della prima spedizione è stata calcolata di trecentomila uomini uccisi, o morti di stento, e per l’influenza del clima. Ciò nullameno ne rimaneva ancora, e giugnevano di continuo truppe sì numerose, che lo stupor de’ Greci parimente eccitarono. La faconda energia della greca lingua sembra non bastare allo studio postosi dalla principessa Comnena nell’amplificare il numero di queste genti1. „Tutti gli sciami delle locuste, tutte le foglie e tutti i fiori della terra, le arene del mare, e le stelle del cielo„ non sono che imperfette immagini di quanto ella ha veduto o inteso dire. Talchè finalmente esclama che „l’Europa smossa dalle sue fondamenta è precipitata contro dell’Asia„. Regna tuttavia la stessa incertezza sul numero a cui gli antichi eserciti di

  1. V. Alexias, l. X, p. 283-505. La ridicola schifiltà di questa principessa, la trae a lamentarsi della bizzarria di certi nomi alla pronunzia difficilissimi; e di fatto son pochi i nomi latini che ella non siasi studiata di sformare con quella orgogliosa ignoranza sì comune e tanto prediletta ai popoli ingentiliti. Ne citerò un solo esempio; ella trasforma il nome di S. Gille in Sangeles.