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CAPITOLO SESTO

delle false dottrine dei conservatori

La politica professata dal maggior numero dei conservatori è meglio una pratica empirica che una teorica. Insegnata dal senso volgare, viene trasmessa di mano in mano dai governanti, approvata dai mediocri, avvalorata dall’esempio, ribadita dalla consuetudine di alcuni ordini cittadineschi. Altri potrebbe crederla recata in arte da quegli statisti che alcuni anni sono fiorivano in Francia sotto nome di «dottrinali», se i costoro dettati in gran parte non ripugnassero alla pratica di cui ragiono. La quale non può aver dottrina, stante che uno de’ suoi vizi principali è appunto la noncuranza e la sprezzatura della teoria universalmente e della scienza. Ben è vero che il suo genio si riscontra per molti capi con quello del dominio assoluto e quindi coi placiti degli autori che lo accarezzano, convenendo l’uno e l’altro nell’astiare i progressi e preporre alla ragione l’usanza e la tradizione. Ma come cosa tutta empirica, ella si diletta piú di fogli che di libri; e giovarono ad accreditarla alcuni celebri diari e mensuali francesi, che, spacciandosi per liberali e conservatori insieme, ottennero autoritá grande nelle varie parti di Europa e riuscirono a persuadere le loro massime, insinuandole per via di critica o di apologetica governativa. I consigli di costoro ebbero non poca parte nei falli che scalzarono e precipitarono in Francia due monarchie potentissime e condussero la nostra Italia alle presenti miserie. Essi celebrarono la stolta politica che c’immolava all’imperatore e, attraversando le riforme, dava forza agl’immoderati. Promossero la mediazione anglofrancese, la spedizione di Roma, la pace