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libro primo - capitolo nono 281


favilla uscí non solo l’incendio ma la rovina: cadde il principato e poscia la libertá. Cedeva al fiotto nemico il Capponi co’ suoi colleghi. Pellegrino Rossi spirava sulla soglia del parlamento, Pio nono fuggiva, Roma ecclesiastica si trasferiva in Gaeta, bandivasi una Dieta fornita di mandato senza limiti, la demagogia prevaleva nel cuore della penisola; e i rettori torinesi dormivano tranquilli, come non si fosse trattato d’Italia ma della Cina o della California.

Anzi essi scrivevano al legato sardo di Roma queste incredibili parole: «In ogni caso, qualunque sieno i governanti di Roma e gl’intendimenti loro, voi farete conoscere loro in modo ufficioso e di viva voce, come se esprimeste l’avviso vostro, che la politica del governo del re è di astenersi dal prendere parte alle discussioni che negli ordini temporali potessero agitarsi fra i popoli e i sovrani loro, e che noi ci facciamo coscienza di rispettare i diritti di tutti i governi a condizione che rispettino i nostri»1. Dunque i popoli ecclesiastici sono diversi da quelli del Piemonte? dunque il giure che corre fra gli uni e gli altri è quello che passa fra nazione e nazione? dunque il Piemonte dee essere freddo e impassibile spettatore delle dissensioni che lacerano il cuore d’Italia, come farebbe verso quelle che sorgessero in Francia, nella Svizzera o nella Germania? E ciò in tempo di fazioni e di rivoluzioni! mentre si agita la guerra della comune indipendenza! mentre il carico ne è affidato a esso Piemonte! mentre le sètte interne e i nemici forestieri cospirano a impedire la sua opera e a precipitare l’Italia in un pelago di nuovi mali maggiori degli antichi! E i poveri ministri discorrono come se si fosse nella pace a gola, e che le nate turbolenze non avessero alcun pericolo. Parlano dei maneggi presenti e futuri, dei retrogradi e dei puritani con quel rispetto che si userebbe verso gli atti del governo inglese. Non osano pure dar loro un consiglio, esprimere un desiderio, mostrare la necessitá di non recar le cose piú oltre e di comporre al piú presto le differenze dei romani col santo padre. Non preveggono che

  1. Ap. Farini, Stato romano, t. iii, p. 139.