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capitolo decimoquarto 133


sarebbe stato esaudito; ché Carlo Felice, malgrado le preoccupazioni politiche, era uomo di sensi cristiani e mitissimi, capace di comprendere le ragioni onorate, di apprezzare e riconoscere le virtuose ed eroiche intenzioni. Non meno inescusabile fu il concorso alla spedizione di Francia contro le franchigie spagnuole, impostogli dall’Austria quasi espiazion del suo fallo e a fine di «comprometterlo coi liberali»1. Per questa ragione appunto la buona politica gliel divietava, come la coscienza e l’onore non gli permettevano di prender parte a un’impresa iniqua e contraria al giure delle nazioni. E non può dirsi che fosse forzato né anco moralmente, perché l’averne menato vanto nel bando che poscia annunziò il suo regno, e i sussidi porti in appresso ai pretendenti della penisola iberica, escludono ogni violenza estrinseca e argomentano una libera elezione2.



  1. Gualterio, op. cit., parte i, p. 599.
  2. Il signor Gualterio, per giustificare la partecipazione di Carlo Alberto alla spedizione di Spagna, dice che essa «non era nell’interesse della santa alleanza, la quale sperava piú la sconfitta che la vittoria delle armi francesi, perché sarebbero subentrati gii alleati del nord e la costituzione francese sarebbesi spenta unitamente alla spagnuola» (ibid., p. 600, nota). Queste cose eran buone a dirsi dagli autori e consiglieri dell’impresa, che non avendo ragioni plausibili per giustificare una solenne ingiustizia ricorsero ai sofismi. I quali, non che avere il menomo fondamento, erano smentiti dallo stato delle cose e dalle condizioni dei popoli e dei potentati in quel tempo. Se nel quattordici e nel quindici Luigi decimottavo diede ripugnante alla Francia vinta e abbattuta uno statuto civile, e la lega vincitrice e onnipotente dei despoti boreali non osò contrastarvi, come mai esso statuto si sarebbe potuto abolire nel ventitré, dopo tanti progressi della pubblica opinione, massime da tre anni, in ogni parte di Europa? Il menomo conato a tal effetto e l’entusiasmo ingenerato dal trionfo dei costituzionali spagnuoli avrebbero accelerata la rivoluzione del trenta. La santa alleanza il sapeva, e lasciò andare i francesi in Ispagna solo perché lo stato de’ suoi eserciti, la geografia, i patti di famiglia non le permettevano di andarci essa. E se era poco atta a domare la Spagna sola, come avrebbe potuto soggiogare la Spagna e la Francia, infervorate da una vittoria dei liberali e dal consenso dell’Italia, del Belgio, della Svizzera e di alcuni popoli della Germania? Arzigogoli politici di tal sorta non poteano persuader gli assennati e né anco affacciarsi allo spirito di Carlo Alberto. Chiunque ha conosciuto questo principe sa ch’egli era incapace di ogni combinazione mentale un po’ estesa e intralciata, e non porrá in dubbio che, accettando l’invito o il comando che vogliam dire, non ebbe altro fine se non quello di acquistar lode come guerriero e assicurarsi la successione futura, pensando tanto a premunire la carta francese contro lontani pericoli quanto il papa a riedificare il tempio di Gerusalemme.