Pagina:Gogol - Novelle, traduzione di Domenico Ciampoli, 1916.djvu/179

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sigliere di Stato. Ma, come dicevano i suoi colleghi, non poteva portare una croce all’occhiello, e tutta la sua assiduità non gli fruttava che emorroidi.

Tuttavia, devo dire che gli accadde un giorno d’attirare una certa attenzione. Un direttore che era un brav’uomo, e che voleva ricompensarlo dei lunghi servigi, ordinò di confidargli un lavoro più importante degli atti che era abituato a copiare. Questo nuovo lavoro consisteva nel redigere un rapporto diretto a un magistrato, nel modificare le intestazioni di alcuni atti e nel cambiare nel corso del testo il pronome di prima persona in quello di terza.

Akaki adempì il suo compito. Ma questo lo mise tanto fuori di sè, gli costò tanti sforzi che il sudore gli scorreva sulla fronte; egli finì con l’esclamare:

— No, datemi piuttosto qualche cosa da copiare.

E d’allora lo lasciarono copiare esclusivamente sino alla fine della vita.

Sembrava che, all’infuori della copia, per lui non esistesse niente, niente al mondo. Non pensava a vestirsi. La sua uniforme che originariamente era verde, tendeva ormai al rosso; la cravatta era divenuta così stretta, così raggrinzita, che il suo collo, sebbene non fosse lungo, usciva dal colletto dell’abito e appariva d’una grandezza smisurata come que’ gatti di gesso con la testa dondolante che i mercanti portano attorno nei villaggi russi, per venderli ai contadini.

Vi era sempre qualcosa che gli si attaccava ai panni; ora un filo, ora un festuca di paglia. Aveva anche una speciale predilezione a passare sotto le finestre, giusto quando lanciavano sulla via qualcosa punto pulita; ed era raro che il suo cappello non fosse ornato di qualche buccia d’arancio o d’altro avanzo di questo genere. Non gli accadeva mai d’occuparsi di ciò che avveniva nelle vie e tutto ciò che colpiva gli sguardi penetranti dei suoi colleghi, abituati a vedere subito sul marciapiede opposto a quello che seguivano, un mortale coi pantaloni sdruciti: cosa che loro procurava sempre una contentezza inesprimibile.

Akaki Akakevic, invece, vedeva soltanto le righe molto diritte, molto regolari delle sue copie; e doveva urtarsi bruscamente con un cavallo che gli soffiava con le narici sul viso, per ricordarsi che non era al leggio, davanti gli stupendi modelli di calligrafia, ma nel bel mezzo della via.