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con loro, pensavano già che avesse un diavolo in corpo. Dove andava a trovar lui tutte quelle storie e quelle fiabe stravaganti così che il nonno si teneva sulle costole stava per scoppiarne? Ma più si inoltravano e più cresceva il buio, mentre le ciarle del giovane perdevano brio. Alla fine, il narratore non fiatò più e cominciò a trasalire a ogni brusio.

— Ah! Ah! Compare! Vedo che ti metti sul serio a contare gli assioli. Tu pensi di scappar via a casa appena ti venga in taglio e saltar sulla stufa.

— Orsù; non voglio nascondervi la faccenda, — disse ad un tratto il Zaporogo volgendosi ai compagni e fissandoli negli occhi. — Sappiate che da un pezzo l’anima mia è venduta al Maligno.

— Oh, cosa fa codesto? Chi mai nella vita non ha avuto matassa da strigar cogli impuri? E appunto allora bisogna, come si dice, darsi bel tempo sino al più non posso.

— Eh, compagni; io farei baldoria volentieri; ma avviene che proprio questa notte scadono i termini. Ah, fratelli, — soggiunse, picchiando sulle loro mani, — venitemi a soccorso; non dormite stanotte; non scorderò il favore per tutta la vita, campi mille anni.

Come non venire in aiuto ad un uomo in sì grande sciagura? Il nonno dichiarò lì per lì che si sarebbe fatto mozzare le orecchie dalla testa prima di permettere che il diavolo annusasse un’anima cristiana col suo musaccio da cane.

I nostri cosacchi avrebber forse seguitata la via se la notte non avesse avvolto tutto il cielo come di un velo nero e se nei campi non ci fosse stato buio peggio che sotto un gabbano di pelle montonesca. Solo di lontano scintillava un fioco lume, e i cavalli, odorando prossima la stalla, affrettavano il passo a orecchio teso e con gli occhi intenti all’oscuro. Il fioco lumicino pareva venir da sè loro incontro; e davanti ai cosacchi apparve la casetta d’una taverna, china sul fianco come una donna reduce da un giocondo battesimo.

Di quel tempo, le taverne non erano come sono oggi. Un galantuomo non solo non aveva spazio per mettersi a bell’agio e di ballare il hopak, ma persino di coricarsi quando il vino gli gravava la testa e le gambe gli scherzavano all’andirivieni.