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NOVELLE 61


Tutto il cortile era ingombro di carretti da cumaki. Sotto le tettoie, nelle stalle, per il vestibolo, tutti russavano come gatti, l’uno accosciato, l’altro disteso. Solo il tavernaio faceva delle tacche a una stanghetta per segnare quanti boccali avevano vuotati le teste dei cumaki.

Mio nonno, dopo di aver ordinato un terzo di secchio di acquavite, per tre, si recò sotto la tettoia, dove lui coi compagni si allungarono l’uno accanto all’altro. Egli non aveva avuto il tempo di voltarsi, quando si accorse che i suoi compaesani dormivano sodo già, di un sonno di piombo. Svegliando il terzo cosacco che si era unito a loro durante la strada, il nonno gli ricordò la promessa data al compagno. Costui si sollevò, si tropicciò gli occhi e si addormentò di nuovo. Che fare, se non rassegnarsi a montar la guardia da solo?

Per bandire il sonno, il nonno andò guardando tutti i carretti ad accertarsi di quello che facevano i cavalli, accese la pipa, tornò e sedette di nuovo accanto ai compagni. Tutto era così calmo che si sarebbe udito il volar di una mosca. Ed ecco ad un tratto egli vede qualcosa di grigio mostrar le corna su a un carretto vicino; nello stesso tempo gli occhi cominciarono a umidirglisi così che egli dovette ad ogni momento stropicciarli col pugno e lavarli con l’acquavite che restava; ma appena gli occhi gli si schiarivano, tutto scompariva. Però, poco dopo, il mostro appariva di nuovo dietro la carretta. Mio nonno spalancò gli occhi per quanto potette, ma il maledetto sonno gli velava tutto dinanzi. Sentì rattrappir le braccia, la testa gli posò sul petto e fu invaso da un sonno tanto profondo, che cadde come corpo morto.

Il nonno dormì lungamente e solamente quando il sole aveva già riscaldato la sua casacca di pelliccia, egli si levò di un balzo sulle gambe. Dopo essersi stirato due buone volte e grattata la schiena, notò che le carrette eran meno di prima: i cumaki probabilmente eran partiti sull’alba. Guardò dalla parte dei compagni: il cosacco era lì, che dormiva tuttora; ma il zaporogo era scomparso; si mise a domandare alla gente, ma nessuno sapeva dir niente. Solo la svitka del zaporogo era rimasta là dov’egli s’era coricato.

Spaventato, il nonno riflettè un momento. Andò a vedere i cavalli, ma non trovò nè il suo nè quello del zaporogo. «Cosa poteva esser mai quella? Supponiamo: la forza ma-