Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/107

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TARAS BUL'BA

nella sua memoria era rimasto ancora intatto, della sua passata vita di collegiale. Fissò ancora una volta con insistenza gli occhi su di lei, e a un tratto mandò un grido con tutta la sua voce:

— Sei la tartara! l’ancella della signorina figlia del Vojevoda...

— St! — bisbigliava la tartara, in atto supplichevole con le mani giunte, e intanto tremava tutta e si voltava indietro, a guardare se per caso qualcuno fosse stato svegliato da quel grido di Andrea.

— Dimmi, dimmi, perché, come sei qui? — disse Andrea con voce quasi soffocata, bisbigliando, interrompendosi a ogni minuto per l’interna emozione. — Dove è la signorina? È viva?

— È qui, nella città.

— Nella città — disse lui, e poco mancò che non prorompesse di nuovo in un grido, mentre sentiva che tutto il sangue gli affluiva al cuore — perché è in città?

— Perché il mio vecchio padrone è anche lui nella città; da un anno e mezzo egli ha la carica di Vojevoda in Dubno.

— E di’ un po’; è maritata? Rispondi, di’ — che strana donna tu sei! — di’?, ora che fa...?

— Sono due giorni oggi che non ha mangiato un boccone.


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