Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/114

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GOGOL

vista di tutto il campo occupato dal tàbor saporogino. Almeno, quando Andrea si volse a guardare, si vide alle spalle una costa diritta come una parete a picco, piú alta della statura d’un uomo; sulla cima di essa si vedevano oscillare alcuni steli dell’erba che copriva il campo, e sopra di essi sorgeva nel cielo la luna in forma di una falce, foggiata di traverso, in oro zecchino chiaro. Dalla steppa si spiccava un venticello che voleva dire che ormai non mancava molto tempo allo spuntare dell’alba. Ma da nessuna parte c’era da udire il canto del gallo in lontananza; né dentro la città, né per i dintorni devastati esisteva piú un gallo, da un pezzo. Sopra una piccola palancola passarono il torrente, dietro al quale si alzava la riva opposta, piú alta, cosí a vederla, di quella che avevano alle spalle, ed elevata addirittura a picco. Si capiva che nella fortificazione della città quello era un punto forte e sicuro per se stesso; almeno il terrapieno era lí piú basso, e la guarnigione non vi aveva messo vedetta. Ma, in compenso, a breve distanza si levava su il muro massiccio del convento. La costa scoscesa era tutta rivestita di burjiana 1, e nello stret-


  1. Nome che danno alla speciale, alta erba della steppa.

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