Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/126

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GOGOL

tre due erano ancora accese sopra due candelabri giganteschi, quasi ad altezza d’uomo, piantati nel mezzo della sala, sebbene già da un pezzo tra le inferriate della larga finestra occhieggiasse la luce del mattino. Andrea voleva senz’altro andare difilato verso una grande porta di quercia, adorna di uno stemma e di molti alti fregi intagliati; ma la tartara lo tirò per una manica e gl’indicò una porticina in una parete laterale. Per quella passarono in un corridoio e quindi in una camera che egli cominciò ad osservare attentamente. La luce, passando per una fessura delle imposte, toccava qua e là qualche oggetto: una tenda cremisi, una cornice dorata e una pittura su una parete. Qui la tartara avvertí Andrea di fermarsi, ed essa aprí la porta che dava in un’altra stanza, da cui guizzò una luce di lumi accesi. Egli udí un bisbiglio, e una voce soave, che lo fece sussultare da capo a piedi. Attraverso la porta socchiusa vide balenare rapidamente una magnifica figura di donna con una lunga chioma opulenta che ricadeva sopra un braccio levato in alto. La tartara tornò e gli disse di entrare. Egli non avrebbe saputo poi dire come entrò e come la porta si richiuse dietro a lui. Nella stanza erano due candele accese, e una lampada ardeva innanzi a un’immagine sacra, sotto la quale era


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