Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/138

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GOGOL

abbandonò al collo di lui, stringendolo con le sue mirabili braccia candide come neve; e singhiozzava. Frattanto risonavano nella strada grida indistinte, accompagnate da suoni di tromba e di tamburo; ma egli non le udiva: egli sentiva soltanto come quelle labbra incantevoli lo scaldavano col profumato tepore del loro respiro, come le lagrime di lei gli scorrevano a rivi sulla faccia, e come i capelli odorosi, spiegandosi giú dal capo, avviluppavano tutto lui nella loro seta scura e lucente.

Intanto venne da loro correndo con un grido di gioia la tartara.

— Siamo salvi, siamo salvi! — gridava, tutta fuori di sé. — I nostri sono entrati nella città, hanno portato pane, miglio, farina e dei Saporogini prigionieri!

Ma nessuno dei due udiva quali «nostri» erano entrati in città, che cosa avevano portato con loro e quali Saporogini legati. Pieno di sentimenti non mai gustati sulla terra, Andrea baciava la bocca odorosa che gli s’era attaccata alla guancia, e non mancarono di rispondere le labbra odorose. Rispondevano allo stesso modo, e in quel bacio scambievole sentirono ciò che una volta sola nella vita è dato all’uomo di sentire.

E il cosacco perí! Fu perduto per tutta la


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